#NoiDonne

Se il mondo fosse come la Matematica

Se il mondo fosse come la Matematica  Proviamo ad immaginare un mondo ideale, organizzato secondo alcune regole come oggettività ed equità nelle valutazioni, caratteristiche specifiche della scienza che consentirebbero ad esempio a tutte le donne, non solo le STEM, di esprimersi secondo le proprie attitudini azzerando bias e stereotipi di genere.  E se il mondo fosse come la Matematica? La parola a Cinzia De Monte prima laureata donna in ingegneria elettronica al Politecnico di Bari https://www.poliba.it/it/ateneo/cinzia-de-monte Mi piace fantasticare sul futuro dell’universo femminile, sognare un mondo in cui non viga l’uguaglianza con l’uomo, ma la gioia di essere diverse e, però, di avere le stesse opportunità di soddisfazione e realizzazione.   Allora ho pensato che, forse, sarebbe più facile per noi donne vivere in un mondo organizzato secondo le caratteristiche principali della Matematica e della scienza in generale, un mondo STEM in cui ogni donna, STEM o no, possa trovare la sua libertà di espressione e realizzazione, di crescere secondo le proprie attitudini o desideri.   Infatti, ci sono diversi aspetti della Matematica che contribuiscono a creare un terreno di gioco equo e neutro, in cui le abilità individuali sono valutate indipendentemente dal genere.   Oggettività delle risposte  Nel mondo della Matematica, le risposte sono oggettive e, quindi, indipendenti dal background personale: un risultato corretto in un problema è universalmente riconosciuto come tale, indipendentemente dal genere di chi lo raggiunge. Questa oggettività crea uno spazio in cui la competenza può emergere chiaramente senza essere influenzata da stereotipi di genere.  Linguaggio universale  La Matematica ha un linguaggio universale che supera le barriere culturali e linguistiche. Ciò crea un ambiente in cui ogni persona ha l’opportunità di esprimersi ed eccellere indipendentemente dal contesto culturale, sociale o di genere di provenienza  Equità in ogni ambito  La Matematica non distingue tra “lavori da donna” e “lavori da uomo”, le abilità individuali sono il solo criterio per il successo; ogni mente può contribuire in modo unico e prezioso, con razionalità e creatività, senza essere confinata ai ruoli imposti dalla società in base al genere.  Collaborazione senza preconcetti  Nello stesso tempo, la Matematica è spesso frutto di collaborazione: idee e competenze di uomini e donne convergono senza pregiudizi di genere, le soluzioni emergono da menti diverse che collaborano in armonia e la diversità è valorizzata e non punita.  Standard di valutazione universali  Gli standard di valutazione nella Matematica sono universali e condivisi globalmente. Nella Matematica, quindi, il successo è misurato da criteri chiari e comuni, non soggetti a pregiudizi; le menti sono valutate in base alla loro capacità di analizzare, comprendere e risolvere, ma anche di creare e scoprire percorsi nuovi.   Ho sognato questo mondo e ho immaginato di viverci con la mia amica appassionata di motori, ma il suo meccanico ogni volta le chiede di parlare con il marito, con quella che fa l’arbitro, ma poi in campo deve subire battutacce o ammiccamenti o con la mia collega tecnico on field a cui spesso, quando arriva in casa del cliente, viene chiesto quando arriverà “il” collega. E ho immaginato che, in questo onirico mondo STEM, non ci sarebbe necessità di scrivere un articolo come questo.  «Non rinunciate mai alla vostra identità. Per le aziende è una ricchezza».  a cura di Cinzia De Monte

Se il mondo fosse come la Matematica Leggi tutto »

Di maternità, child penalty e altre riflessioni

Di cosa parliamo quando parliamo di maternità. Di fatto “Il periodo della vita della donna madre dall’inizio della gestazione fino all’allevamento del neonato” (cit. Treccani). Con questo termine si indica anche il periodo di tempo in cui la madre lavoratrice dipendente si astiene dal lavoro obbligatoriamente per 5 mesi – una tempistica che non segue la precedente definizione e che cambia da paese a paese- da fino a due mesi precedenti la data presunta del parto e fino a 5 mesi dopo la stessa. La variabilità dell’inizio e fine maternità obbligatoria dipende – tra le altre cose- dalla volontà della madre lavoratrice dipendente, dal suo stato di salute, dalla peculiarità dell’attività e dagli strumenti che il datore di lavoro può mettere in campo per agevolarla, come lo smart working, in alcuni casi. Per il periodo di 5 mesi di maternità obbligatoria retribuita al 100% ad oggi si può scegliere la formula 2+3, 1+4 oppure 0+5. Da qui in poi scatta il congedo non obbligatorio, di cui un mese retribuito all’80% – secondo la Legge di Bilancio 2023- e il resto al 30%. [Questo articolo non si pone l’obiettivo di essere una guida esaustiva al congedo di maternità, per questo scopo si rimanda il lettore al sito Inps.] Cosa succede prima della battuta d’arresto dei cinque mesi obbligatori di congedo nell’ambito lavorativo della donna? E cosa avviene durante la sua assenza? E poi ancora, al suo rientro, cosa troverà? Come potrà coniugare vita professionale (magari con anche l’aspirazione di crescere) ai primi mesi di vita del bebè? Queste risposte, tutt’altro che prevedibili, avranno un impatto decisivo sulla sua carriera e la sua vita personale. Squilibrio di genere nel mondo del lavoro, Gender Pay Gap e Child Penalty Sfogliando il Rapporto Inapp sono davvero preoccupanti i dati che testimoniano lo squilibrio di genere nel mondo del lavoro: quasi una donna su cinque lascia il lavoro con l’arrivo del primo figlio e la motivazione più comune è proprio la difficoltà a conciliare vita privata/lavoro. Prima della mia gravidanza non conoscevo molte altre neomamme millennial, anzi direi che le mie conoscenti coetanee e mamme si contavano appena. Non è infatti un segreto che di figli non se ne fanno quasi più. In ogni caso, rispetto al mio contesto, prima della mia gravidanza avevo a che fare quasi solo con donne in attività lavorativa. Adesso invece che frequento contesti dove mi è più facile conoscere altre mamme -un network di sorellanza pazzesco- scopro che molte di loro decidono di lasciare il lavoro dopo il primo figlio o di accontentarsi di un impiego modesto mentre il partner cresce professionalmente o almeno si ritiene soddisfatto della sua sfera professionale. Alcune mi dicono che per riprendere a lavorare devono assumere una baby-sitter ma che costa troppo, o che gli asili sono di difficile accesso. Che non ce la si fa coi costi e che tanto vale rinunciare a uno dei due stipendi in casa, poiché uno dei due si riduce a pagare le sole spese, finendo comunque per perdersi dei momenti con i figli che non torneranno. E così alcune di noi rinunciano alla propria carriera, quindi allo stipendio. Quindi alla propria indipendenza. Questa si chiama #ChildPenalty. Mamma o lavoratrice? Da dilemma a binomio necessario Gioia a parte, la gravidanza è un’esperienza forte, il parto non ne discutiamo proprio e il resto poi è tutto in salita. Incluso le scelte di vita che ne conseguono. E dire che per chi la desidera, la maternità è uno dei momenti più pieni e felici della vita. Peccato debba coesistere questo contrasto in cui, a volte, sia necessario scegliere se fare la mamma o la lavoratrice. O, in alcuni casi, a rinunciare a scalare la vetta di quel famoso soffitto di cristallo. La maternità viene dunque vissuta come una fragilità in un contesto sociale in crisi. Diviene fondamentale che tutte le aziende – attori sociali del cambiamento e comunità inclusive – si attivino per contrastare il Gender Gap che si rivela nella maternità. Un passo significativo potrebbe essere la firma del Codice di autodisciplina, che viene proposto liberamente a tutte le imprese per sostenere la maternità, con lo scopo di arrestare la decrescita e incentivare la natalità, favorire la continuità di carriera delle madri, sostenere economicamente le iniziative di cura e educazione dei figli. Anche confrontarsi con le linee guida della Certificazione per la Parità di genere UNI/Pdr 125:2022, è un’occasione per scoprire se la propria azienda sia compliant con i requisiti richiesti per ottenerla e dunque attivarsi in tal senso. Ma non basta. Per quanto si possa generalizzare omologando procedure e regole nel tentativo di regolamentare i bisogni di gestanti e neomamme, e bilanciare la genitorialità, ogni esperienza è a sé ed effettivamente questo è l’unico assunto certo per tutte. Il primo mese e mezzo basta a mala pena a riprendersi dal parto, capire se e come avviare l’allattamento e gestire il bebè. Dai due mesi inizi a mettere piede fuori casa, a rimescolarti col mondo esterno e con gli altri. Siamo arrivati a tre mesi. Epoca dei primi vaccini. Ricominci a sentire il tuo corpo più sgonfio, a sentirti più serena. Il rapporto con il bebè si intensifica, la sua energia aumenta e il nuovo assetto familiare va pian piano saldandosi. Arrivano lo svezzamento, la dentizione eccetera. Come si può pensare che tre o cinque mesi possano bastare per affrontare questa montagna di cambiamenti, rimettersi in sesto, sistemare i nuovi equilibri e tornare al lavoro a pieno regime, millantando una carica energetica che neanche venti giorni di ferie restituiscono? Ci dicono che l’epoca delle eroine è finita. Eppure, le sento già alcune donne dire “e io come ho fatto ai miei tempi?!”. Beh credo che il modello del sacrificio non sia la soluzione. Certo, forse era ed è tutt’ora l’unico modo per avanzare professionalmente. Una donna dovrebbe avere il diritto di fermarsi per il tempo che lei ritiene necessario al fine di avviare il bebè nel mondo nei suoi primi anni di vita, come avviene in altri stati

Di maternità, child penalty e altre riflessioni Leggi tutto »

Segui la Pagina LinkedIn di NoiD ♀
Segui NoiD su Twitter ♀
INSTAGRAM
Torna in alto

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" acconsenti al loro utilizzo.

Chiudi