Eterne Signorine? Recitare gli stereotipi di genere

C’è un tema che mi sta a cuore da anni, la parità di genere. Venerdì 22 settembre, presso l’azienda CRM Partners, si è tenuto il mio primo speech, a titolo personale, sull’Empowerment femminile. Sono stata invitata a condividere la mia testimonianza insieme a Fabiana Musicco, una donna di grande spessore professionale ed umano, che ha avuto il coraggio, circa venti anni fa, di lasciare, da dirigente, una azienda per affrontare una sfida culturale e sociale immensa: lanciare una onlus.

Insieme abbiamo preparato l’incontro, ci siamo confrontate, ci siamo guardate dentro, abbiamo ricostruito i nostri percorsi e poi ci siamo riconosciute nelle parole di Michela Murgia, raccolte dentro un suo prezioso libro: “Stai zitta”.  Ci siamo ispirate a lei.

Quel venerdì mattina, la stanza era piena di giovani donne e uomini. Ho intravisto in alcuni sguardi la curiosità, in altri, un amletico dubbio, in altri ancora, una aprioristica sfida. L’agenda della giornata prevedeva i nostri due interventi, una fase di confronto e a seguire la creazione di gruppi per la simulazione di situazioni di discriminazione di genere.

Dopo le presentazioni iniziali della Responsabile HR Costanza Fratta e del CEO dell’azienda Armando De Lucia, io e Fabiana iniziamo il nostro speech. Fabiana si presenta e si racconta con emozione e passione.

Quando tocca a me, mi autodefinisco ingegnera e femminista ed inizio a parlare di numeri.

Ma non per annoiare, solo per condividere il quadro della condizione femminile nel mondo ed in Italia. Tra i vari numeri, riporto che secondo l’ONU, per raggiugere la parità salariale nel mondo, ci vorranno 257 anni e che in Italia le donne CEO di società quotate sono l’8%.

Quindi parliamo del tetto di cristallo (la difficoltà delle donne di raggiungere posizioni apicali) che è ancora un fenomeno strutturale, ci diciamo che probabilmente c’è ancora bisogno delle quote rose per sfondarlo, soprattutto perché il rischio è che le donne rinuncino alla sfida già in partenza.

Dopo la dimensione dei numeri, esploriamo con Fabiana l’insidioso mondo delle parole.Nanni Moretti in Palombella rossadice che “Le parole sono importanti” ed anche noi ci domandiamo come mai ancora oggi su tante professioni si predilige il maschile, come se fosse considerato più prestigioso.

Noi la pensiamo come Murgia, dichiariamo cioè che se proprio noi donne preferiamo non usare la forma corretta, come avvocata, ingegnera, architetta, siamo noi stesse a non darci prestigio. È così che continuiamo a perpetrare la discriminazione con l’imposizione del maschile universale. Murgia sostiene che è come se stessimo occupando abusivamente il posto di un uomo.

Siamo abituate ad ascoltare appellativi come AstroSamantha o Astromamma per donne che hanno un ruolo professionale di rilievo, ma non capita mai di sentir chiamare un astronauta uomo con l’appellativo di Astropapà. Tutto ciò ci sembra normale. Ma non lo è.

Dopo il complesso mondo delle parole, io e Fabiana affrontiamo il tragico mondo offeso del corpo femminile. Parliamo della cultura patriarcale e dei danni macroscopici che ha inferto nelle menti delle persone, donne e uomini indistintamente. Raccontiamo che siamo stati sottoposti per anni a un bombardamento mediatico di immagini svilenti in cui il corpo femminile veniva oggettivizzato e ridotto quasi sempre ad una sola parte erotica.

Abbiamo ipotizzato che una reificazione della donna così diffusa, possa purtroppo, anche solo inconsciamente, produrre situazioni imbarazzanti per le donne anche nel mondo del lavoro. Il rischio, abbiamo detto, è che diventi legittimo non riconoscere l’autorevolezza alle donne, perpetrando la brutta abitudine di organizzare solo i manel, ossia gli all male panel, congressi in cui vengono invitati a parlare solo gli uomini, poiché ritenuti più autorevoli.

Si è così abituati a dare visibilità agli uomini che si fa fatica a riconoscere il valore delle donne, il loro peso specifico, e sicuramente averle ignorate, ridicolizzate e ridimensionate al ruolo di principianti, non ha aiutato la causa. Fabiana ha raccontato un episodio in cui nonostante lei fosse una dirigente, i capi erano soliti appellarla con il nomignolo di “ragazza”.

Queste situazioni purtroppo tendono a sminuire la donna, a rimpicciolirla.

Abbiamo riflettuto sul fatto che per le donne è quasi impossibile farsi chiamare con il cognome e con il titolo professionale: noi siamo le eterne “signorine”, infatti al bar, di solito solo il nostro collega maschio viene chiamato con l’appellativo di “Ingegnere”.  Noi restiamo solo delle “signorine” anche se siamo Ingegnere.

Secondo noi, abbiamo continuato, raggiungere il potere in poche non serve a nulla, serve farlo insieme, ci vuole una massa critica minima e delle sorelle capaci di dedicarsi ad altre sorelle, costruendo percorsi di emancipazione in grado di far superare a tutte gli ostacoli sessisti.

Infatti, secondo noi la leggenda che le donne siano rivali è solo una strategia del patriarcato, che ci vuole divise. Noi non siamo rivali, ma crederlo e dircelo rafforza il pensiero unico maschile e ci indebolisce dividendoci, come sostiene Murgia.

Insieme facciamo paura e se poi in quell’insieme hanno il coraggio di entrare anche gli uomini, faremo paura ancora di più.

Secondo noi, infatti, l’alleanza con gli uomini è fondamentale, perché la difesa di una donna dagli attacchi sessisti può farla una donna, ma anche un uomo.

La cultura di parità che vorremmo diffondere, secondo noi, deve partire dalle bambine, abbiamo detto, perché l’immagine della donna che aspetta il principe azzurro vorremmo scardinarla una volta per tutte, perché, secondo noi, alle bambine va insegnato il valore dell’indipendenza, l’importanza del proprio corpo e la potenza delle parole.

Le bambine non devono vivere più di eterna approvazione maschile o diventare donne in un universo di penelopismo esasperato, ma devono fare un percorso di consapevolezza, un viaggio verso un futuro in cui saranno davvero libere di scegliere.

Alle fine dello speech alcuni uomini si sono riconosciuti nei nostri pensieri, affermando anche con coraggio che quella cultura patriarcale danneggia anche loro, poiché li imprigiona in un modello rigido e claustrofobico. Altri uomini, invece, anche se erano d’accordo su tutto, hanno sollevato dei dubbi su alcune parole (ingegnera, architetta sono parole che non esistono e sono cacofoniche!), sulle quote rosa (dobbiamo avere persone competenti, non dobbiamo selezionare in base al sesso) e sull’oggettivazione del corpo che secondo loro è anche colpa delle donne (eh però le donne su Instagram sono sempre mezze nude, sono loro ad auto-oggettivizzarsi).

Si è acceso un vivace dibattito tra uomini e donne, anche quelle che sembravano un po’ nascoste, accartocciate nella loro sedia, per non dare nell’occhio, forse quelle più timide, hanno poi preso la parola con determinazione ed espresso i loro pensieri, spiegato, guardando dritte negli occhi, perché quanto avevamo detto era giusto, secondo loro.

Anche se ci si può accontentare di vivere gioiosamente nella distanza, abbiamo deciso di fare un esperimento, far provare a tutte e tutti il disagio di certe situazioni.

A questo punto è iniziata la parte di laboratorio della giornata: abbiamo diviso la platea in gruppi misti, uomini e donne, e li abbiamo sollecitati a simulare scene di discriminazione di genere. Hanno recitato, tra l’altro molto bene. Alcuni uomini hanno scelto di fare la parte delle donne, altri hanno scelto di essere la mente delle donne. Io e Fabiana abbiamo moderato e dato dei piccoli suggerimenti e proposto tattiche per uscire fuori da certe situazioni.  

È stato divertente, catartico e potente. Per le donne perché si sono sentite capite e accolte, per gli uomini perché si sono immedesimati benissimo in ruoli lontani da loro e per noi perché abbiamo colto da lontano una piccola luce di trasformazione.

 Non so se gli uomini che avevano qualche dubbio all’inizio, abbiano poi riconosciuto quanto tutte e tutti siamo vittime inconsapevoli degli stereotipi, forse non lo sapremo mai, ma dopo le simulazioni, ho notato uno sguardo diverso, forse più consapevole, più complice, più vicino.

Sicuramente la strada è questa, cercare di creare una maggiore consapevolezza tra le persone, affrontare la dialettica costruttiva senza paura, per costruire davvero una società più equa ed inclusiva.

 Proviamo a percorrerla tutte e tutti insieme.  

A cura di Laura Bernardini

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