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Sogni di stelle e scoperte luminose-Ho portato Marie Curie e Margherita Hack nella classe di mia figlia

Parlare di materie STEM alle elementari Un giorno di aprile, in una scuola elementare di Roma, è stata organizzata una giornata speciale: genitori o nonni potevano candidarsi per tenere una lezione di scienze ai bambini. Ho deciso di candidarmi per la classe 1 E di mia figlia per parlare di due scienziate: Margherita Hack e Marie Curie.  Quando sono entrata in classe, ho notato subito lo sguardo complice e divertito dei bambini e delle bambine che, conoscendomi già, erano curiosi e curiose di sapere cosa avrei raccontato. Neanche mia figlia ne era a conoscenza. Le maestre, che erano presenti e che hanno sostenuto questo progetto con entusiasmo e partecipazione, dopo aver governato con autorevolezza la frizzante vivacità della classe, ad un certo punto, quasi passandomi la palla, hanno dichiarato: “sono tutti suoi, Laura!” Ho deciso, dunque, di iniziare la lezione salutando la classe con un buongiorno rivolto sia ai bambini che alle bambine. Subito dopo mi sono presentata in modo formale, quasi come si fa ad una riunione di lavoro, cercando però di adottare un linguaggio semplice e intuitivo. Ho raccontato ai bambini di aver studiato anche io alle elementari, alle medie, al Liceo classico ed infine ho raccontato di aver scelto all’Università la facoltà di Ingegneria Nucleare.  Mi sono dunque definita una Ingegnera Nucleare. Per rompere il ghiaccio, ho consegnato ad ognuno di loro un cartoncino colorato, spiegando che, una volta ascoltata la storia di ogni scienziata, potevano scrivere una parola, una frase che li avesse colpiti o incuriositi. Appena ho colto degli sguardi attenti, ho iniziato a leggere la storia di Margherita Hack tratta dal libro: “Storie della Buonanotte per bambine ribelli”, la quale, nata circa cento anni fa, era una astrofisica, quindi studiosa delle stelle e dei pianeti e sosteneva che siamo tutti fatti interamente di elementi creati nel cuore delle stelle. Ho letto ad alta voce di come Margherita Hack scrutasse i cieli, attraverso un telescopio enorme ed ho specificato, scadenzando bene le parole, che aveva la testa piena di domande. Ho colto l’occasione per sottolineare come avere una testa piena di domande voglia dire essere persone curiose di conoscere il mistero della vita e il meccanismo affascinante della natura. Ho sottolineato il fatto che è stata la prima donna a dirigere un osservatorio astronomico e che aveva addirittura un asteroide che portava il suo nome. Ho aggiunto anche che non era una secchiona, infatti era solita dedicare tanto tempo anche allo sport, diventando persino campionessa nei salti in alto e in lungo.   Ho raccontato che Margherita Hack diceva che” le stelle non sono molto diverse da noi: nascono, crescono, invecchiano e muoiono”. Mi sono permessa di non pronunciare la parola “muoiono” per non turbare i bambini, ma con mio stupore alcuni bambini hanno aggiunto “e muoiono”, dimostrando di sapere benissimo come funzionasse il ciclo della vita. Dopo aver letto tutta la storia, mi sono avvicinata ai bambini per leggere cosa avessero scritto ed ho letto ad alta voce tutte le loro parole che erano rimaste incollate nella loro testa e che avevano meticolosamente scritto sui cartoncini che avevo consegnato, ognuno con i propri tempi, la propria sensibilità e la propria memoria. Parole e pensieri immensi erano incisi sul cartoncino, dalle piccole mani di questi bambini, come “la testa piena di domande”, “Luce”, “donna”, “scoperta”, “buco nero”, “telescopio”, “Marte”, “stelle”, “invecchiano”, “curiosità”…  A questo punto ho dichiarato una cosa che li ha stupiti, ho detto loro che potevano rubare le parole degli altri bambini, se le ritenevano davvero interessanti.  Ho spiegato che le idee degli altri ci arricchiscono tantissimo e non è un reato rubarle. Divertiti da questa idea, hanno arricchito i loro cartoncini di nuove parole, venendo da me a farmele vedere. Dopo Margerita Hack, ho cominciato a leggere, la storia di Marie Curie, specificando che il suo vero cognome era Skłodowska.   Ho spiegato l’importanza di ricordarla con il suo cognome, seppur difficile da pronunciare e da scrivere, e non quello del marito. Ho raccontato che duecento anni fa in Polonia, lei andava in una scuola segreta, perché le donne non potevano studiare all’università. Ho guardato le bambine ed i bambini negli occhi ed ho ripetuto più volte questo concetto: “le donne non potevano studiare, quindi non potevano essere indipendenti e libere. “ Ho letto di quando Marie Skłodowska scoprì che a Parigi c’era una università che le avrebbe dato la possibilità di studiare e che quindi decise di trasferirsi lì. Marie Skłodowska si laureò sia in fisica che in matematica e scoprì che alcuni minerali erano radioattivi, quindi, emanavano potenti raggi e brillavano al buio. Lei restava alzata tutta la notte per vederli brillare. I bambini sembravano incantati. Ho spiegato che le radiazioni hanno un potere strano, possono fare del bene come del male. Possono curare le malattie, ma allo stesso tempo possono anche essere pericolose. Marie Skłodowska, insieme al marito Pierre Curie scoprì due nuovi elementi radioattivi: il polonio e il radio. Grazie a questa scoperta vinse due premi Nobel. Ho sottolineato guardandoli negli occhi che Marie Skłodowska fu la prima donna a vincere il premio Nobel, il premio per le grandi scoperte. A questo punto mi sono resa conto che alcuni bambini avevano associato il premio Nobel ad una specie di coppa della Champions e quindi ai tanti soldi che nella loro testa lei avesse vinto. Ho quindi dovuto frenare brutalmente la loro fantasia, raccontando invece dell’immensa generosità di Marie Skłodowska, la quale, insieme al marito, decise di donare le scoperte all’umanità, senza dunque diventare mai ricca. Dopo una prima delusione di sogni di ricchezza infranti, i bambini hanno capito che anche la generosità, in fondo, era un qualcosa di bello e magicamente, piano piano, con i loro tempi, hanno cominciato a scrivere questa parola sui propri cartoncini e ci tenevano a farmela leggere: “Generosità”. Forse non diventeranno tutte scienziate e tutti scienziati in classe di mia figlia, ma l’importante è che si sentano sempre libere e liberi di poterlo scegliere.   Penso anche che raccontare alle bambine storie

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Il Dizionario Maschilista

NoiD ha raccolto un elenco di espressioni sessiste usate da alcuni uomini (talvolta, anche da alcune donne) e che non vogliamo più sentire né ripetere. Espressioni travestite da battute che – spoiler – non fanno ridere, o da allusioni che  – altro spoiler- non lusingano. Frasi che mortificano perché depistano l’attenzione dalla sfera professionale e che denudano in una stanza piena di persone.  Espressioni che umiliano chi le ascolta, chi le riceve e chi le dice. Le donne sono costantemente sotto tiro. Giudicate troppo giovani per essere prese sul serio o troppo vecchie per fare carriera, egoiste se decidono di non avere figli o tagliate fuori se decidono di averne, per il ruolo di madri troppo avvezze alla vita familiare o poco presenti con figli e partner, per il modo di vestirsi provocante o troppo poco femminile, per il temperamento guidato da ciclo mestruale o menopausa e “altre nevrastenie” spesso correlate alla sfera sessuale. E ancora, giudicate per la capacità di guidare una macchina o un team, di prendere decisioni come una femminuccia sensibile o un maschiaccio. L’atteggiamento maschilista può manifestarsi attraverso affermazioni più o meno velate che denotano una visione patriarcale e discriminatoria dei ruoli di genere arrogante e dominante di alcuni uomini verso le donne ma talvolta anche dalle donne stesse. A volte si tratta di atteggiamenti volontari e altre volte di unconscious bias. In altre parole, è un problema sociale che ostacola la parità di genere e la piena realizzazione dei diritti delle donne. Abbiamo raccolto alcune frasi e le abbiamo raggruppate in ironici sottogruppi.  Buona lettura! Il mansplaining Zitta tu/ Quello che lei intende dire è…  Zittire qualcuna, ammutolirla, imporle il silenzio, farla tacere, toglierle la parola. Oltre a essere un grave segno di cattiva educazione e di non rispetto verso la persona che sta parlando è anche un chiaro sintomo di violenza verbale nei confronti di una donna. Si può togliere la parola anche aumentando il volume della propria voce, o usando il linguaggio del corpo (prevaricatore), il linguaggio verbale maschilista, la posizione gerarchica di potere o l’atteggiamento bullizzante e molesto. Le “battute” Oggi hai le “tue cose”?!  / Quella è frigida! / Se me lo chiedi con quegli occhi… / Con quel corpo potresti metterla ogni tanto una gonna…/ Se a me una donna fa dei complimenti io mica mi offendo… / Te la sei presa? Ma era solo una battuta! / Certo che sono dalla parte delle donne… io le amo tutte! Saper fare ridere è un dono. Ecco, questi esempi sono l’opposto e denotano la demarcazione dei limiti oltre i quali non si deve andare. Spostare l’attenzione dall’ambito professionale a quello sessuale è un gioco scorretto volto a sminuire la persona che subisce questi attacchi, soprattutto se non è consapevole delle battute a lei rivolte.   Le mestruazioni sono di sovente la cornice delle battute sessiste. Parliamo di un fenomeno fisiologico che garantisce la sopravvivenza della specie umana e che riguarda oltre la metà della popolazione mondiale. Un argomento tabù che genera curiosità e scherno. In ogni caso, la causa e soluzione di tutto, sembra essere proprio il sesso. Troppo o troppo poco pudica, questa donna sembra sconvolgere sempre un po’ tutt*. Il paternalismo Poveri figli, sono sempre soli. A che ora rientri a casa?  / A “casa” mia comandano le donne/ Dai è tardi, mandiamola a casa a cucinare / *bip* chiedo scusa alle signore / Cara… tappati le orecchie Pare che la frase “una donna che lavora toglie spazio alla famiglia” sta a “un uomo che lavora porta avanti la famiglia” in modo assolutamente proporzionale. Il lavoro svolto da una donna assume talvolta un valore completamente diverso, genera cioè un vuoto in un altro spazio. Diverso è nel caso dell’uomo che invece che si sacrifica per la famiglia proprio andando a lavorare. Ancora diversa è invece l’accezione del lavoro di cura, designato alla donna come spettanza di diritto e che esula l’uomo dal prendere parte attiva a genitorialità e cura della famiglia in generale. Chi ha questa visione dei confini sociali tende spesso anche a voler proteggere la donna da parolacce, spacconate, battute sessiste. La maschitudine Hai due palle così! / Sei tu che porti i pantaloni in casa Assume valore e parità di trattamento ciò che assomiglia. L’identificazione della donna in caratteristiche o connotati maschili porta al riconoscimento dei suoi diritti. Associati a forza e virilità, dire ad una donna che “ha due palle così” è ritenuto un complimento, un passaggio dal rango inferiore a quello superiore. Così come i pantaloni denotano comando entro le mura domestiche (anche se le donne li indossano da duemila anni). I complimenti Bella e brava! / Per essere una donna devi essere contenta di dove sei arrivata. / Hai degli occhi bellissimi! / Hai un bellissimo sorriso! Confermare a qualcuna che il suo aspetto fisico è gradito alla propria vista in ambito professionale, non aggiunge alcun valore alla relazione né agli obiettivi da raggiungere insieme sul lavoro. Sposta ancora una volta l’attenzione dal professionale all’oggettificazione dei corpi femminili. Stereotipi di genere Certo, le donne sono molto più precise, affidabili e sensibili degli uomini/ Le donne sono multitasking / Non fare la femminuccia… Avete voluto la parità?! / Sembri un maschiaccio / Mettiamo anche un paio di donne in quel panel altrimenti ci fanno la predica / Quella lì ha raggiunto quella posizione grazie alle quote rosa Nel calderone delle battute ci rientrano anche quelle che all’apparenza non sono classificabili. Un mix confuso tra stereotipi di genere, galanteria machista e invidia. Esempi virtuosi Un albero che cade fa più rumore di cento che crescono. A pagare il prezzo del maschilismo non sono solo le donne ma anche tutti gli uomini che provano ad esserne avulsi. Mica macho (https://www.instagram.com/mica.macho/?hl=it ) è la community di uomini stanchi di portare il peso di machismo e patriarcato e che organizzano momenti di incontro, riflessioni di autocoscienza maschile e diffusione culturale nelle scuole. Osservatorio Maschile (https://mailchi.mp/47329395030e/osservatorio-maschile-2023) invece indaga quanto e come le aspettative di genere influenzano la vita a

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Diamo più voci alle donne

Nel corso degli anni abbiamo assistito a un fenomeno apparentemente contraddittorio: da una parte c’è stato un repentino superamento delle enciclopedie, così com’erano intese una volta, e dall’altra invece una crescente richiesta di sapere enciclopedico, favorita dalla diffusione delle informazioni grazie alla rete internet. In questo contesto Wikipedia, nata come esperimento di intelligenza collettiva, è diventata un punto di riferimento, una fonte di conoscenza utilizzata anche nelle scuole. Il divario di genere in Wikipedia La presenza femminile tra i collaboratori dell’enciclopedia libera presenta un divario di genere molto marcato, sia per l’utilizzo, sia per la partecipazione alla creazione delle voci. Un primo studio, iniziato nel 2008 e durato un decennio, ha raccolto i dati di genere tra i contributori di Wikipedia. La prima rilevazione del 2008 vedeva il genere femminile attestarsi al 30,52% dei lettori e al 12,64% tra i contributori e per tutto il decennio successivo la situazione non è migliorata (anzi!). Altri dati, raccolti dal 2019 al 2022 si attestano sulle stesse percentuali di partecipazione femminile, sempre intorno al 13%. In questo studio più recente vi è però un dato positivo: considerando solo i nuovi contributori, la percentuale delle donne è maggiore (20%) rispetto all’insieme complessivo di vecchi e nuovi contributori. La scarsa partecipazione femminile, attiva o passiva, all’enciclopedia libera è purtroppo solo la punta dell’iceberg del divario di genere, che si articola in diversi altri punti. Argomenti e numerosità delle voci Andando ad analizzare la numerosità delle voci di Wikipedia, quelle riguardanti le donne o i soggetti femminili sono decisamente minori. Solo il 16,68% di biografie presenti in Wikipedia in italiano sono dedicate alle donne e la situazione non varia di molto anche negli altri paesi del mondo. Questa disparità è nota da tempo ed è stata affrontata dai media anche con risvolti ironici: nel 2011 le voci sulle scrittrici femministe messicane erano 9 volte meno delle voci dedicate ai Simpson! Tutto questo però non ha contribuito finora a migliorare di molto la situazione. Un altro caso eclatante fu rilevato dal Guardian nel 2018 e riguardava l’assenza della voce dedicata a Donna Strickland, premio Nobel per la fisica. Come possiamo spingere le nostre figlie a imbracciare le discipline STEM, col sogno di diventare scienziate, quando poi le voci dedicate alle scienziate sono così scarse? Diversità nell’attività di editing Nella comunità dei wikipediani, sebbene gli uomini totalizzino un numero di interventi di gran lunga maggiore, il tipo di attività di editing – creazione nuove voci, modifica di voci esistenti, inserimento citazioni, correzioni ortografiche, grammaticali o di contenuto – è invece abbastanza simile tra uomini e donne. Quindi, come abbiamo visto precedentemente, le donne partecipano in misura minore a Wikipedia, ma quando lo fanno la tipologia del loro contributo è analoga a quella maschile. Per quanto riguarda le aree, si riscontra una maggiore attività delle donne nelle arti e nell’area umanistica, a fronte di storia, geografia e scienze per gli uomini; tale differenza riflette le differenze di genere tra i laureati ed è un motivo in più per spingere su un incremento delle lauree STEM al femminile. Se le biografie maschili (69%) prevalgono nel complessivo delle attività di editing sia degli uomini che delle donne, si rivela però una tendenza degli uomini a occuparsi di soggetti del proprio stesso sesso (83%). Questo squilibrio non corrisponde all’interesse dei lettori, perché dall’analisi dei dati di visualizzazione delle pagine si evince che le biografie femminili interessano i lettori quanto – se non di più – di quelle maschili. Biografie storiche femminili La scarsa presenza di voci biografiche storiche femminili è spesso stata correlata alla minore possibilità che hanno avuto le donne di occupare posizioni rilevanti per lunga parte della storia umana. La mancanza di potere delle donne nel corso della storia non ha consentito loro di ricoprire posizioni di prestigio o di fama, condizione che determina la “notorietà” dei soggetti. Uno studio del 2015 evidenzia che l’84,4% delle biografie esaminate riguarda soggetti maschili, il 15,6% quelle femminili e lo 0,0001% identità non binarie. Il risultato sorprendente è che la distribuzione delle biografie storiche femminili è maggiore nelle culture confuciane (27%), dell’Asia meridionale (19%) e dell’Islam (17%), rispetto a quelle europee, latino-americane e africane. Gli autori dello studio hanno spiegato questa tendenza con il “fenomeno della celebrità” che caratterizza le culture confuciane e dell’Asia meridionale. Tuttavia, a pensarci bene, il risultato non stupisce più di tanto, se pensiamo che leader importanti come Indira Gandhi e Benazir Bhutto erano presenti nelle politiche asiatiche già quarant’anni fa, mentre in Italia abbiamo dovuto attendere il 2022 per avere un Presidente del Consiglio donna. Il lessico per le donne Purtroppo la presenza femminile in Wikipedia non presenta solo un problema di copertura, ossia di differenza tra numero di biografie femminili e maschili. Vi è una differenza anche nella struttura delle voci (in termini di quantità e genere dei collegamenti) e di contenuto lessicale (cioè dei termini utilizzati per descrivere uomini o donne importanti). Dall’analisi computazionale dei termini utilizzati nelle voci si riscontra che spesso nelle biografie femminili si enfatizza il fatto che si sta scrivendo di una donna, si dà maggiore spazio rispetto a quelle maschili alla vita privata, alle relazioni sentimentali, alla sessualità (prevalenza di termini come “matrimonio”, “divorzio”, “figli”, “famiglia”), mentre in quelle maschili prevalgono gli aspetti legati ai processi cognitivi e alle attività sportive. Inoltre le voci sulle donne contengono più spesso collegamenti a voci su uomini che non viceversa, determinando un’asimmetria di connessione tra i generi. Divario di genere nella partecipazione Sono state analizzate le cause della scarsa partecipazione femminile nella creazione delle voci di Wikipedia. Una ricerca statunitense del 2013 di Stine Eckert e Linda Stein ha raccolto le spiegazioni proposte dai lettori sul divario di partecipazione e le ha raccolte in quattro principali categorie: Se ne deduce che in Wikipedia è ancora presente una cultura che oppone resistenza alla partecipazione femminile, dovuta principalmente al fatto che coloro che stabiliscono politiche, arbitrano controversie e svolgono attività di alto livello sono principalmente di genere maschile. Per evitare pregiudizi di genere sarebbe necessaria una

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Intersezione tra discriminazioni: il genere e il contesto socio-economico di provenienza

Introduzione La coesistenza della discriminazione di genere con altre forme di discriminazione, come ad esempio quella razziale o quelle legate all’orientamento sessuale o alla classe sociale di provenienza, peggiora le prospettive di crescita professionale delle donne; studiare questa intersezionalità tra forme diverse di discriminazione può aiutare ad adottare soluzioni che tengano conto delle molteplici sfaccettature della nostra identità di donne. Un aspetto spesso trascurato, ma di notevole rilevanza, è la discriminazione di classe, che può avere un impatto fortemente negativo sulla crescita professionale delle donne provenienti da contesti socio/economici più svantaggiati. Cerchiamo di indagarne gli aspetti principali per capire se e come sia possibile alleggerire la pressione del contesto di provenienza sul nostro percorso professionale. Accesso all’istruzione Le donne provenienti da famiglie a basso reddito spesso non possono accedere ad una formazione avanzata e/o adeguata alle proprie ambizioni e ciò, a volte, si riflette sulle prospettive di lavoro. Quindi, è importante abbattere le barriere economiche che impediscono alle donne di formarsi opportunamente per realizzare il proprio potenziale, garantendo un accesso equo all’istruzione e alla preparazione professionale di qualità (vedi i test di medicina, superati in maggior misura da chi ha potuto usufruire di un’adeguata e quindi costosa preparazione). Percezione delle competenze e dell’adeguatezza professionale La discriminazione di classe, a volte, ha ripercussioni sulla percezione delle competenze e dell’adeguatezza professionale: le donne provenienti da contesti disagiati potrebbero subire stereotipi che, associando la classe sociale al valore professionale, creano barriere psicologiche alla valutazione oggettiva della loro capacità, limitandone così le opportunità di crescita professionale. Un esame approfondito di come queste opportunità vengano assegnate potrebbe evidenziare e risolvere eventuali disparità legate alla classe sociale. Inoltre, l’adozione di assessment delle competenze, basati su criteri oggettivi e misurabili, potrebbe ridurre giudizi legati a bias impliciti. Impatto sulla fiducia e l’ambizione Gli stereotipi legati alla classe sociale possono danneggiare anche l’autostima delle donne e la loro fiducia nel perseguire obiettivi ambiziosi: la paura di essere giudicate sulla base del proprio background socio/economico, l’abitudine a vivere un contesto di disagio e, quasi, a non sentirsi in diritto di sognare potrebbero frenare l’ambizione e limitare la partecipazione a opportunità di carriera avanzate. Affrontare questa sfida richiede un ambiente di lavoro (e sociale…) che sostenga e incoraggi le donne, indipendentemente dalla loro provenienza. Costruzione di reti professionali Le donne provenienti da contesti socio/economici più svantaggiati potrebbero avere più difficoltà nella creazione di connessioni utili per la propria crescita professionale: la partecipazione a eventi, a programmi di mentoring e ad altre occasioni di networking spesso richiede un impegno economico non sempre accessibile a tutte. Diventa quindi fondamentale creare piattaforme di networking inclusive e accessibili, garantendo la connessione con professionisti di successo indipendentemente dal proprio background socio/economico. Equità salariale e discriminazione di classe La discriminazione di classe può riflettersi anche nella retribuzione: donne provenienti da famiglie a basso reddito potrebbero, a loro volta, accettare retribuzioni più basse per la necessità di entrare subito nel mondo del lavoro e non pesare ulteriormente sulle famiglie, per l’abitudine a specifiche fasce di retribuzione o solo perché non ci si sente in diritto di chiedere di più. E’ quindi necessario migliorare i processi di assunzione per garantire un approccio più equo alla retribuzione. Assistenza all’infanzia Le donne che vivono in contesti svantaggiati potrebbero non avere accesso a servizi di assistenza all’infanzia che garantiscano una giusta conciliazione del ruolo materno con quello lavorativo, soprattutto dove i servizi pubblici non sono completamente disponibili; quindi, potrebbero trovarsi costrette a scegliere percorsi professionali non in linea con le proprie aspettative ma che compensino queste mancanze. Risolvere queste sfide richiede politiche aziendali e sociali che sostengano le diverse fasi della maternità, come l’offerta di servizi di assistenza all’infanzia o la flessibilità del lavoro. Mancanza di rappresentanza Le donne provenienti da contesti socio/economici di disagio potrebbero non avere modelli di ispirazione, sia maschili che femminili, nella cerchia più ristretta, oppure potrebbero manifestare difficoltà a identificarsi con modelli di leadership che non riflettono la loro realtà. Sarebbe utile allora condividere di storie di successo e di resilienza, mettendo in luce le narrazioni positive delle donne che hanno superato sfide economiche e sociali. Conclusione La discriminazione di classe può costituire un ostacolo significativo per le opportunità di crescita professionale delle donne. Solo attraverso un impegno collettivo a livello aziendale e sociale, possiamo sperare di costruire un futuro in cui tutte le donne abbiano accesso equo a opportunità professionali significative. a cura di Cinzia De Monte

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Barbie e C’è ancora domani i film campioni di incassi dedicate alle donne

Nel 2023 tanti sono stati i titoli dei film che hanno messo al centro le donne, non solo come protagoniste, ma anche come registe e sceneggiatrici. Un segnale importante, che dimostra come anche l’industria cinematografica sia attenta all’evoluzione di una società dal cambiamento inclusivo e paritario e di come le donne siano sempre più protagoniste attive del proprio destino. Parliamo di “Barbie” e “C’è ancora domani”, film campioni d’incassi, storie diverse che raccontate sul grande schermo hanno amplificato la voce di due protagoniste Barbie e Delia, opposte ma al contempo entrambe forti e complesse, tanto da farle nventare ispirazione e movimento. Il mondo rosa di Barbie, canone di bellezza femminile secondo Mattel, riferimento per intere generazioni con le sue lunghe gambe, i piedi predisposti per indossare scarpe con il tacco, con il suo Ken eterno innamorato, sempre accanto e un po’ in secondo piano, ma con una nuova visione del futuro. La nuova Barbie non è più una figura perfetta e irraggiungibile, nel film viene mostrata con difetti fisici e insicurezze, si prende gioco di se stessa e degli stereotipi che la riguardano, con una vena ironica e indipendente, ha nuove amiche diverse da lei per aspetto e personalità. Una Barbie leader, che non si adegua più ai modelli standard di bellezza e comportamento, coinvolge le altre bambole ad esprimere la propria individualità e a seguire i propri sogni. A contrasto il mondo in bianco e nero di Delia, una donna normale, in cui rivediamo le nostre nonne, schiacciata dalla sua quotidianità tra famiglia ed i vari lavori con cui ricerca una certa indipendenza economica, sposata con un uomo  per cui tutto è dovuto e preteso, dai modi violenti. Delia emblema della tenacia, del senso del dovere quotidiano, della resistenza o potremmo dire resilienza, parola che tanto piace citare nei contesti lavorativi come quella capacità necessaria per affrontare qualsiasi difficoltà. Delia e la sua grande forza per andare avanti, trovando piccoli stratagemmi di sopravvivenza, appigli su cui fare leva per la speranza di un domani migliore, che nel finale del film regala a tutti una grandissima lezione di senso civico, ricordando come i diritti di oggi siano state conquiste passate. I film frutto di due mondi cinematografici distanti come quello americano e italiano – sono accomunati da una regia al femminile, Greta Gerwig e Paola Cortellesi, con un grandissimo successo al botteghino, tanto da diventare fenomeni internazionali – ponendo alla ribalta il ruolo che le donne possono ricoprire nella cinematografia: registe validissime, capaci di creare prodotti di successo in termini economici e di pubblico. Sì, perché anche il mondo cinematografico non è immune dal gender e pay gap. Greta Gerwig con Barbie è stata la prima donna a superare il miliardo di dollari di incassi in 17 giorni, arrivando a 1.5 miliari di $. Il film ha avuto otto nomination per i prossimi Oscar, tra cui miglior film, miglior attore non protagonista per Ryan Gosling e miglior attrice non protagonista per America Ferrera. Tante e tanti hanno notato due mancate candidature: quella per la miglior regia a Greta Gerwig e per la miglior attrice protagonista Margot Robbie, sottolineando in contrapposizione quella ricevuta per il ruolo di Ken. Greta Gerwig è stata scelta per presiedere la giuria della 77ma edizione del prossimo Festival di Cannes, che si terrà a maggio, sarà la più giovane dal 1966 quando fu presieduto dalla trentunenne Sophia Loren, la prima regista donna americana ad avere questo ruolo, la prima donna dopo l’attrice Cate Blanchett che ne fu presidente nel 2018, e la seconda regista dopo Jane Campion nel 2014.    Come spesso succede per le eccellenze femminili che riescono ad emergere, si inanella un elenco di “prima donna a ….”, perché in molti settori, in questo caso nel cinema, si assiste ad una disparità di genere in tutta la gerarchia dei ruoli. Paola Cortellesi, con C’è ancora domani per la prima volta alla regia, ha avuto risultati strepitosi in un ruolo su cui le donne sono poco accreditate. Il suo film ha superato Barbie con oltre 36,3 milioni di euro di incassi al botteghino (al 26/2/2024) e 5.3 milioni di presenze (32,2 milioni euro e 4.4 milioni di Barbie). Diritti acquistati a fine novembre in 18 paesi, Australia e Nuova Zelanda, Brasile, Taiwan, Israele, Francia, Spagna, Olanda, Danimarca, Svezia, Belgio, Grecia, Ungheria, Svizzera, Finlandia e Norvegia, rumors sull’interesse di Lady Gaga per farne un remake. L’onda lunga ha contagiato tutti, si è scatenato il passaparola, il “word of mouth” che nel Marketing viene considerata una delle forme più potenti di promozione e comunicazione per rendere un prodotto di successo. Difficile da innescare, ma potentissimo una volta avviato. Riflessioni, pensieri, stimoli diversi ma efficaci per tutti i target: giovani, adulti, senior, ogni persona parte di una visione collettiva in sala ed un turbinio di emozioni e riflessioni a posteriori. C’è ancora domani ha messo sostanzialmente d’accordo chi scrive di cinema e chi paga il biglietto. Tutti e tutte hanno consigliato il film, riportando al cinema non solo coloro che ne sono fruitori abituali, ma anche chi ne era distante, e che non ha voluto sentirsi al di fuori da questo fenomeno. Abbiamo letto proposte per renderlo obbligatorio nelle scuole (e qualche scuola ha già aderito), il luogo principe in cui formare la gioventù del domani.   E insieme ai dati strepitosi, apprendiamo le difficoltà per le donne di emergere anche in questo settore. Il Primo rapporto annuale dell’Osservatorio per la parità di genere del Ministero della Cultura (pubblicato a novembre 2022) analizzando la regia dei film italiani (inclusi i cortometraggi) prodotti dal 2008 al 2018, evidenzia come complessivamente le registe donne rappresetano solo il 15% dei film, con profonde differenze tra i generi: dal 9% per i lungometraggi al 21% dei documentari.. Lo squilibrio esiste anche nell’ambito delle diverse professioni sia come numerosità che come retribuzione: Squilibri per cui è evidente che il cammino verso la parità sarà ancora lungo. Anche nel panorama internazionale l’industria cinematografica sta attuando delle verifiche per misurare l’impatto delle politiche a sostegno del superamento del gender gap. Lo scorso

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Se il mondo fosse come la Matematica

Se il mondo fosse come la Matematica  Proviamo ad immaginare un mondo ideale, organizzato secondo alcune regole come oggettività ed equità nelle valutazioni, caratteristiche specifiche della scienza che consentirebbero ad esempio a tutte le donne, non solo le STEM, di esprimersi secondo le proprie attitudini azzerando bias e stereotipi di genere.  E se il mondo fosse come la Matematica? La parola a Cinzia De Monte prima laureata donna in ingegneria elettronica al Politecnico di Bari https://www.poliba.it/it/ateneo/cinzia-de-monte Mi piace fantasticare sul futuro dell’universo femminile, sognare un mondo in cui non viga l’uguaglianza con l’uomo, ma la gioia di essere diverse e, però, di avere le stesse opportunità di soddisfazione e realizzazione.   Allora ho pensato che, forse, sarebbe più facile per noi donne vivere in un mondo organizzato secondo le caratteristiche principali della Matematica e della scienza in generale, un mondo STEM in cui ogni donna, STEM o no, possa trovare la sua libertà di espressione e realizzazione, di crescere secondo le proprie attitudini o desideri.   Infatti, ci sono diversi aspetti della Matematica che contribuiscono a creare un terreno di gioco equo e neutro, in cui le abilità individuali sono valutate indipendentemente dal genere.   Oggettività delle risposte  Nel mondo della Matematica, le risposte sono oggettive e, quindi, indipendenti dal background personale: un risultato corretto in un problema è universalmente riconosciuto come tale, indipendentemente dal genere di chi lo raggiunge. Questa oggettività crea uno spazio in cui la competenza può emergere chiaramente senza essere influenzata da stereotipi di genere.  Linguaggio universale  La Matematica ha un linguaggio universale che supera le barriere culturali e linguistiche. Ciò crea un ambiente in cui ogni persona ha l’opportunità di esprimersi ed eccellere indipendentemente dal contesto culturale, sociale o di genere di provenienza  Equità in ogni ambito  La Matematica non distingue tra “lavori da donna” e “lavori da uomo”, le abilità individuali sono il solo criterio per il successo; ogni mente può contribuire in modo unico e prezioso, con razionalità e creatività, senza essere confinata ai ruoli imposti dalla società in base al genere.  Collaborazione senza preconcetti  Nello stesso tempo, la Matematica è spesso frutto di collaborazione: idee e competenze di uomini e donne convergono senza pregiudizi di genere, le soluzioni emergono da menti diverse che collaborano in armonia e la diversità è valorizzata e non punita.  Standard di valutazione universali  Gli standard di valutazione nella Matematica sono universali e condivisi globalmente. Nella Matematica, quindi, il successo è misurato da criteri chiari e comuni, non soggetti a pregiudizi; le menti sono valutate in base alla loro capacità di analizzare, comprendere e risolvere, ma anche di creare e scoprire percorsi nuovi.   Ho sognato questo mondo e ho immaginato di viverci con la mia amica appassionata di motori, ma il suo meccanico ogni volta le chiede di parlare con il marito, con quella che fa l’arbitro, ma poi in campo deve subire battutacce o ammiccamenti o con la mia collega tecnico on field a cui spesso, quando arriva in casa del cliente, viene chiesto quando arriverà “il” collega. E ho immaginato che, in questo onirico mondo STEM, non ci sarebbe necessità di scrivere un articolo come questo.  «Non rinunciate mai alla vostra identità. Per le aziende è una ricchezza».  a cura di Cinzia De Monte

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Di colore, color carne e altri bias – intervista a Giuditta Rossi

Di colore, color carne e altri bias Ci sono espressioni chiare, altre equivocabili o, se non altro, che danno libera interpretazione. Una di queste è di colore, la traduzione italiana per definire una persona la cui pelle non è bianca. Nell’analisi delle evidenze del report “Women in the workplace” per l’articolo su falsi miti e stereotipi (nota 1) siamo incappate in una riflessione sull’espressione women of colour che era citata più volte. Nelle note si chiariva l’espressione in lingua inglese (Women of colour include Black, Latina, Asian, Native American/American Indian/Indigenous or Alaskan Native, Native Hawaiian, Pacific Islander, Midlle Eastern, or mixed-race women), ma si trattava di un appunto che in lingua italiana fa emergere una complessità non risolta. Mentre in inglese con of colour si fa riferimento alle varie etnie (afro, indiana, etc), in italiano di colore si riferisce a un colore ben preciso. Come tradurre quindi, visto che un termine equo, univoco, condiviso e accettato non esiste? Abbiamo chiesto a Giuditta Rossi – brand strategist e co-founder, insieme a Cristina Maurelli, di Bold Stories https://boldstories.it/  e della campagna di advocacy virale Color Carne https://colorcarne.it/ – di riflettere con noi su queste tematiche. Come definiresti il termine “donna di colore” e perché lo ritieni appropriato o inappropriato? La questione è complessa, il termine presenta delle criticità ed è necessario fare una piccola panoramica sulla terminologia. “Di colore” nasce dall’inglese “person of color” per indicare in modo generico una persona non identificabile come “bianca”. Quando questa espressione è stata adottata nella lingua italiana, il significato si è ristretto per indicare solo le persone nere. La terminologia è carente dal punto di vista della rappresentazione, anche nella versione inglese, perché “di colore” nasce dagli stessi bias evidenziati con Bold Stories nella campagna Color Carne, in cui era evidente che, inconsciamente, si stesse definendo uno standard. Perché in fondo, “di colore” rispetto a chi? Quello dell’intersezione tra colore della pelle, etnia, nazionalità e cultura è un ambito a cui servono parole nuove. Non è facile individuarle perché è un tema non risolto, anche a livello internazionale. Qual è la tua opinione sull’uso della parola nera o nero per indicare le persone di origine africana o afrodiscendenti? Appartengo a quella parte di professionalità e studio che ritiene che “nera” sia al momento preferibile all’espressione “di colore”, proprio per i motivi sopra citati. Anche questa parola presenta alcune criticità – come bianca del resto – perché non ci sono persone veramente bianche o nere. L’umanità è un mix di colori, ha mille sfumature. È una semplificazione quindi, ma finché non avremo di meglio è quella che ho scelto per definire me stessa. Ma cosa succede a chi non è una persona considerata bianca o nera? Che parole utilizziamo? Al momento si tende a usare la nazionalità, la provenienza geografica, il luogo in cui sono nati i propri antenati, ma non è risolutivo, racconta solo una parte della realtà. In questo senso un bias che si riscontra spesso in Italia è pensare che una persona nera sia necessariamente di un’altra nazionalità, come se in Italia ci fossero solo persone bianche. Cosa pensi dell’uso della n word (https://www.treccani.it/vocabolario/neo-n-word_%28Neologismi%29/ ), sia nella sua forma dispregiativa che in quella riappropriata, da parte di alcune persone nere attiviste o nel campo dell’arte? Penso che non ci sia molto da dire: la n word è una parola fortemente discriminatoria, da non utilizzare in nessun contesto. Detto questo, se alcune persone discriminate scelgono di rivendicarla per loro stesse per cambiarne la narrazione, come accaduto anche con altre parole tipicamente identificate come slur – insulti o diffamanti – penso sia un loro diritto. Certamente questo non vale per chi non è oggetto di quella discriminazione. Quali sono le principali sfide e opportunità che le donne nere devono affrontare nel contesto italiano e globale? Tra i temi principali che colpiscono le persone nere, così come in generale tutte le persone discriminate, ci sono quelli della rappresentazione e dell’accesso. Sono dinamiche che hanno a che vedere con il potere, chi lo detiene e come si sceglie di usarlo. E poi c’è nello specifico la questione delle donne, in quanto oggetto di una discriminazione di genere. Quello che vorrei vedere è una maggiore intersezionalità. È molto diverso essere una donna cisgender rispetto a essere una donna cisgender nera, così come lo è essere una donna cisgender nera con disabilità o una donna transgender nera. Le intersezioni sono tantissime e non dovremmo dimenticarcene. Per questo ritengo che le attività di Diversità, Equità e Inclusione (DE&I), che sempre più si svolgono all’interno delle organizzazioni, giochino un ruolo importante nel lavorare attivamente per promuovere il cambiamento. Quali sono le fonti di ispirazione e i modelli di riferimento che le donne nere possono trovare nella letteratura, nell’arte, nella musica e nel cinema? In Bold Stories diciamo che “Chi non è rappresentat* non esiste”. Chi non rientra nelle narrazioni di cui facciamo esperienza ogni giorno tende ad essere meno visibile nella mente delle persone. Mettere nel mondo storie autentiche e coraggiose è un modo per far sentire le persone viste e riconosciute per chi sono davvero. In questo senso, il contributo delle donne nere è enorme in tutti i settori: autrici, registe, attrici, produttrici, performer, artiste… Ogni giorno sfidano lo standard e rendono gli spazi sempre più ampi, non solo per loro stesse e le proprie comunità di riferimento, ma per tutte quelle persone che nelle storie non si vedono mai. Queste donne sono troppe per essere menzionate, quello che posso fare è citare alcune tra le mie narrazioni preferite che, in momenti e per motivi diversi, mi hanno fatta sentire vista: Il libro: Salvare le ossa di Jesmyn Ward. La serie tv: Harlem di Tracy Oliver. La canzone: Brown skin girl di Beyoncé. Arte: le illustrazioni di Laci Jordan. Come si può promuovere una maggiore consapevolezza e sensibilizzazione sulle questioni di genere e razza tra le donne e nella società in generale? C’è una cosa importante che abbiamo voluto comunicare con la campagna Color Carne e più di recente

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4 FALSI MITI: STEREOTIPI SU DONNA E CARRIERA

È stata pubblicata l’edizione 2023 del report “Women in the Workplace”, ideato da LeanIn.Org e McKinsey & Company. È lo studio più ampio sulla situazione femminile nelle corporate in America, un campione che in 9 anni ha coinvolto 900 organizzazioni e oltre 23 milioni di persone. Quali sono le principali evidenze? Esistono riflessioni applicabili anche alla realtà italiana? Lo abbiamo chiesto a Kiasi Sandrine Mputu, Millennial italiana e expat, che attualmente vive e lavora in Inghilterra come Assistant Manager, Radio Host ed Entrepreneur. La presenza femminile nei ruoli dell’organizzazione: alcuni dati Ancora poche donne!  Pur in presenza di un continuo miglioramento anno dopo anno, le donne sono ancora poche in tutti i ruoli della gerarchia lavorativa e se guardiamo alle donne appartenenti ad una minoranza etnica sono ulteriormente sottorappresentate (nel report è specificato come “women of colour”, definizione che include “Black, Latina, Asian, Native American / American Indian / Indigenous o Alaskan Native, Native Hawaiian, Pacific Islander, Middle Eastern, o di razza mista”). Dalla prima rilevazione del 2015 i numeri sono cresciuti di qualche punto percentuale ovunque, dalle prime assunzioni alle posizioni di middle management, fino alla C-suite. Lo stacco è avvenuto maggiormente proprio nelle posizioni apicali con 11 punti percentuali, dal 17% al 28%, ma nonostante questa spinta siamo ancora lontani dall’equilibrio di genere. Sulla C-suite oggi troviamo 1 donna ogni 4 uomini e ancora meno 1 “donna non caucasica” ogni 16 uomini.  Una quota femminile limitata si traduce in poche “Inspiring Women”, che possano influenzare positivamente le altre donne, coloro che sono desiderose di una crescita lavorativa, e le giovani generazioni. Vi sono pochi modelli di riferimento, mentre è fondamentale avere esempi di persone in cui identificarsi, percepire la possibilità del loro percorso di carriera per poterlo ripercorrere, riportando una citazione nel report di una Direttrice (e donna nera) “People need to see leaders who look like themselves to understand that it’s possible for them”. “L’assenza di role model” conferma Sandrine “é un dato di fatto. La situazione attuale sembrerebbe dirigersi verso un lieve miglioramento, tuttavia vi è ancora una lunga strada da percorrere per arrivare ad una rappresentazione reale, a tutti gli effetti ein ogni settore. Oggi il tema della rappresentazione in Italia risulta ancora carente in tanti contesti, dalla comunicazione, alla politica ma anche nei media, nel settore educativo e via dicendo,  ambiti in cui le donne italiane nere esistono più che in passato ma in cui risultano ancora poco in vista e riconosciute proprio in mancanza di pratiche di inclusione e dati che aiutino a colmare i gap presenti sul territorio: i numeri sono importantissimi, perché fotografano la società in cui si vive, i talenti a disposizione,  le opportunità da cogliere e quelle mancate.” Quattro falsi miti su donna e carriera Sfatiamo quattro falsi miti sull’approccio che le donne hanno verso il lavoro e la carriera. Mito #1: Le donne sono meno ambiziose. ⁠ Evidenza: La ricerca ha riscontrato che le donne sono più ambiziose del periodo pre-pandemia e la flessibilità lavorativa alimenta questa propensione: 8 donne su 10 ambiscono ad una crescita lavorativa rispetto a 7 su 10 del 2019 con maggiore intensità in ragazzi e ragazze under 30, dove 9 su 10 aspirano ad una promozione.  Il lavoro da remoto e ibrido pone condizioni più favorevoli per le donne per poter conciliare i diversi ruoli, consentendo oggi di aspirare ad una crescita professionale, laddove in passato il lavoro esclusivamente in sede costringeva spesso a scelte drastiche di riduzione orario di lavoro o di spostamento su mansioni a minore responsabilità. L’aspirazione di crescita è molto forte anche nelle “women of colour” che per il 96% vivono la carriera come elemento molto importante della loro vita, ambendo per l’88% ad una crescita. Su questi due aspetti, Sandrine ci ha condiviso come il lavoro sia associabile all’indipendenza, all’emancipazione sociale e alla possibilità di libertà e scelta che esprimono congiuntamente la rilevanza dei dati. Mito #2. Il più grande ostacolo all’avanzamento delle donne è il “soffitto di cristallo”. Evidenza: Mentre generalmente si pensa che l’ostacolo maggiore sia nel raggiungimento di posizioni di vertice e leadership, in realtà è maggiormente frequente incappare nel “gradino rotto”, ossia una prima barriera che le donne devono affrontano nel diventare manager. La criticità sta infatti sul passaggio da entry level a manager, con un gap del 20% tra uomini e donne. Ogni 100 uomini promossi, le donne sono 87, e si scende a 54 se si tratta di “Black women” (con notevoli passi indietro rispetto agli 82 del 2020 o ai 96 del 2021).  L’interpretazione di Sandrine su questa retrocessione è legata ad una accentuata attenzione sui fenomeni razziali nella fase successiva alla morte di George Floyd da cui è conseguita un’attenzione mediatica e social mediatica intorno ai diversi movimenti (in particolare Black Lives Matter), conversazioni ed iniziative relative alle tematiche legate alla razza, uguaglianza, diversitá ed inclusione, i quali hanno quindi favorito nell’immediato maggiori opportunità lavorative alle “women of colour”, ma più come un effetto temporaneo e circoscritto che come una modifica strutturale al sistema:il fenomeno del “tokenismo”, cioè “la pratica di fare qualcosa (come assumere una persona che appartiene a un gruppo minoritario) solo per evitare critiche e dare l’impressione che le persone siano trattate in modo equo” dalla definizione di Merriam Webster. Il report, inoltre, evidenzia come il “Performance Bias” incida negativamente sia nell’assunzione che nello sviluppo di carriera: mentre le donne vengono assunte o promosse in base ai precedenti traguardi, gli uomini vengono valutati sulle loro potenzialità future. Un punto di vista profondamente divergente su cui riflettere ed intervenire per porre entrambi sullo stesso piano, facendo in modo che il bias non penalizzi la crescita dell’intero cluster femminile. Mito #3. Le micro-aggressioni hanno un impatto minimo. Evidenza: Le micro-aggressioni hanno effetti significativi e duraturi sulle donne. Il report analizza le diverse casistiche di micro-aggressioni (definizione entro cui potemmo accorpare comportamenti dettati da pregiudizi) mettendone in luce le conseguenze, come stati di burn out o desideri di cambiare azienda, effetti molto rilevanti, che si contrappongono all’appellativo “micro” che farebbe

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Eterne Signorine? Recitare gli stereotipi di genere

C’è un tema che mi sta a cuore da anni, la parità di genere. Venerdì 22 settembre, presso l’azienda CRM Partners, si è tenuto il mio primo speech, a titolo personale, sull’Empowerment femminile. Sono stata invitata a condividere la mia testimonianza insieme a Fabiana Musicco, una donna di grande spessore professionale ed umano, che ha avuto il coraggio, circa venti anni fa, di lasciare, da dirigente, una azienda per affrontare una sfida culturale e sociale immensa: lanciare una onlus. Insieme abbiamo preparato l’incontro, ci siamo confrontate, ci siamo guardate dentro, abbiamo ricostruito i nostri percorsi e poi ci siamo riconosciute nelle parole di Michela Murgia, raccolte dentro un suo prezioso libro: “Stai zitta”.  Ci siamo ispirate a lei. Quel venerdì mattina, la stanza era piena di giovani donne e uomini. Ho intravisto in alcuni sguardi la curiosità, in altri, un amletico dubbio, in altri ancora, una aprioristica sfida. L’agenda della giornata prevedeva i nostri due interventi, una fase di confronto e a seguire la creazione di gruppi per la simulazione di situazioni di discriminazione di genere. Dopo le presentazioni iniziali della Responsabile HR Costanza Fratta e del CEO dell’azienda Armando De Lucia, io e Fabiana iniziamo il nostro speech. Fabiana si presenta e si racconta con emozione e passione. Quando tocca a me, mi autodefinisco ingegnera e femminista ed inizio a parlare di numeri. Ma non per annoiare, solo per condividere il quadro della condizione femminile nel mondo ed in Italia. Tra i vari numeri, riporto che secondo l’ONU, per raggiugere la parità salariale nel mondo, ci vorranno 257 anni e che in Italia le donne CEO di società quotate sono l’8%. Quindi parliamo del tetto di cristallo (la difficoltà delle donne di raggiungere posizioni apicali) che è ancora un fenomeno strutturale, ci diciamo che probabilmente c’è ancora bisogno delle quote rose per sfondarlo, soprattutto perché il rischio è che le donne rinuncino alla sfida già in partenza. Dopo la dimensione dei numeri, esploriamo con Fabiana l’insidioso mondo delle parole.Nanni Moretti in Palombella rossadice che “Le parole sono importanti” ed anche noi ci domandiamo come mai ancora oggi su tante professioni si predilige il maschile, come se fosse considerato più prestigioso. Noi la pensiamo come Murgia, dichiariamo cioè che se proprio noi donne preferiamo non usare la forma corretta, come avvocata, ingegnera, architetta, siamo noi stesse a non darci prestigio. È così che continuiamo a perpetrare la discriminazione con l’imposizione del maschile universale. Murgia sostiene che è come se stessimo occupando abusivamente il posto di un uomo. Siamo abituate ad ascoltare appellativi come AstroSamantha o Astromamma per donne che hanno un ruolo professionale di rilievo, ma non capita mai di sentir chiamare un astronauta uomo con l’appellativo di Astropapà. Tutto ciò ci sembra normale. Ma non lo è. Dopo il complesso mondo delle parole, io e Fabiana affrontiamo il tragico mondo offeso del corpo femminile. Parliamo della cultura patriarcale e dei danni macroscopici che ha inferto nelle menti delle persone, donne e uomini indistintamente. Raccontiamo che siamo stati sottoposti per anni a un bombardamento mediatico di immagini svilenti in cui il corpo femminile veniva oggettivizzato e ridotto quasi sempre ad una sola parte erotica. Abbiamo ipotizzato che una reificazione della donna così diffusa, possa purtroppo, anche solo inconsciamente, produrre situazioni imbarazzanti per le donne anche nel mondo del lavoro. Il rischio, abbiamo detto, è che diventi legittimo non riconoscere l’autorevolezza alle donne, perpetrando la brutta abitudine di organizzare solo i manel, ossia gli all male panel, congressi in cui vengono invitati a parlare solo gli uomini, poiché ritenuti più autorevoli. Si è così abituati a dare visibilità agli uomini che si fa fatica a riconoscere il valore delle donne, il loro peso specifico, e sicuramente averle ignorate, ridicolizzate e ridimensionate al ruolo di principianti, non ha aiutato la causa. Fabiana ha raccontato un episodio in cui nonostante lei fosse una dirigente, i capi erano soliti appellarla con il nomignolo di “ragazza”. Queste situazioni purtroppo tendono a sminuire la donna, a rimpicciolirla. Abbiamo riflettuto sul fatto che per le donne è quasi impossibile farsi chiamare con il cognome e con il titolo professionale: noi siamo le eterne “signorine”, infatti al bar, di solito solo il nostro collega maschio viene chiamato con l’appellativo di “Ingegnere”.  Noi restiamo solo delle “signorine” anche se siamo Ingegnere. Secondo noi, abbiamo continuato, raggiungere il potere in poche non serve a nulla, serve farlo insieme, ci vuole una massa critica minima e delle sorelle capaci di dedicarsi ad altre sorelle, costruendo percorsi di emancipazione in grado di far superare a tutte gli ostacoli sessisti. Infatti, secondo noi la leggenda che le donne siano rivali è solo una strategia del patriarcato, che ci vuole divise. Noi non siamo rivali, ma crederlo e dircelo rafforza il pensiero unico maschile e ci indebolisce dividendoci, come sostiene Murgia. Insieme facciamo paura e se poi in quell’insieme hanno il coraggio di entrare anche gli uomini, faremo paura ancora di più. Secondo noi, infatti, l’alleanza con gli uomini è fondamentale, perché la difesa di una donna dagli attacchi sessisti può farla una donna, ma anche un uomo. La cultura di parità che vorremmo diffondere, secondo noi, deve partire dalle bambine, abbiamo detto, perché l’immagine della donna che aspetta il principe azzurro vorremmo scardinarla una volta per tutte, perché, secondo noi, alle bambine va insegnato il valore dell’indipendenza, l’importanza del proprio corpo e la potenza delle parole. Le bambine non devono vivere più di eterna approvazione maschile o diventare donne in un universo di penelopismo esasperato, ma devono fare un percorso di consapevolezza, un viaggio verso un futuro in cui saranno davvero libere di scegliere. Alle fine dello speech alcuni uomini si sono riconosciuti nei nostri pensieri, affermando anche con coraggio che quella cultura patriarcale danneggia anche loro, poiché li imprigiona in un modello rigido e claustrofobico. Altri uomini, invece, anche se erano d’accordo su tutto, hanno sollevato dei dubbi su alcune parole (ingegnera, architetta sono parole che non esistono e sono cacofoniche!), sulle quote rosa (dobbiamo avere persone competenti, non dobbiamo selezionare

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Intervista NoiD Telecom al Social Women Talk! 2023: “Comunicazione Phygital per fare cultura sul gender gap fuori e dentro il web”

Noemi Giammusso: Ci racconti per chi non vi conoscesse cos’è e come nasce NoiD Telecom? Quali sono gli strumenti che avete messo in campo per promuovere i vostri obiettivi e fare rete?  Roberta Perfetti: NoiD Telecom è una Associazione nata oltre 10 anni fa dall’iniziativa di alcune donne manager del Gruppo TIM, all’epoca “Telecom Italia” di cui abbiamo conservato il nome, per promuovere la parità di genere e favorire un cambiamento culturale sia all’interno del Gruppo, sia nel contesto in cui opera.  I nostri obiettivi principali sono:   Le azioni/attività che mettiamo in campo per raggiungerli sono:   Lo scorso anno siamo intervenute in questo stesso evento per raccontare il lavoro di allargamento della community sui social che stavamo facendo, un lavoro che continuiamo a portare avanti e che ci particolare soddisfazione: oggi abbiamo circa 3mila followers tra tutti gli account social attivi. E direi che per una piccola associazione di settore è una gran bel numero. Un risultato che arriva grazie anche al riconosciuto apprezzamento per il nostro lavoro da buona parte del management di TIM.  Siamo cresciute quindi, sia sui social sia in generale, oggi siamo 350-400 tra socie e simpatizzanti. E come succede spesso quando si cresce, ci si domanda cosa si può fare di più e meglio. Tra le novità c’è l’apertura dell’Associazione agli uomini e a tutte le persone esterne al Gruppo TIM, decisione presa convinte del valore dell’inclusione e dell’equilibrio.    Il Networking è l’attività meno digital ma molto importante e su cui stiamo puntando molto (Tiziana vi racconterà meglio quali sono le novità) e per noi significa sia networking interno tra le associate per le quali organizziamo eventi, sia networking esterno con altre Aziende o Associazioni che condividono i nostri obiettivi. Partecipiamo ad eventi, come questo, tavole rotonde, panel e prendiamo parte a gruppi di lavoro su progetti specifici. Abbiamo ad esempio partecipato, con Inclusione Donna, alla stesura della PdR/125, la norma per la certificazione sulla parità di genere. Attività concrete quindi perché la concretezza è un aspetto che caratterizza la nostra Associazione.  Noemi Giammusso: Comunicazione Phygital per fare cultura sul gender gap fuori e dentro il web. La mia domanda è: Ti andrebbe di raccontarci come vi state prendendo cura della vostra community in modalità phygital? Avete individuato delle leve?   Tiziana Omaggi: In NoiD la comunicazione non è solo digitale per fare rete ma vuole mettere le persone al centro!   La nostra comunicazione phygital pone infatti al centro la community tramite un piano di azioni che stiamo mettendo a terra per offrire alle persone un programma concreto di networking ed empowerment:  Come lo facciamo?  Mettiamo a disposizione le nostre competenze di professioniste della comunicazione che lavorano quotidianamente con la tecnologia, pronte a sperimentare nuovi strumenti digitali, realizzare format innovativi, attivare nuovi canali, con il duplice obiettivo di fare crescere l’awereness di NoiD fuori e dentro il Web.  Cosa stiamo facendo?  Tra le azioni in campo nel 2023 abbiamo attivato il “Networking Tour”, con le prime tappe sulle città di Torino, Milano e Napoli. Per noi è stato un passaggio fondamentale, arrivare alle persone e al territorio, per trovarsi e ritrovarsi insieme nel portare e condividere obiettivi e valori dell’associazione. Il nostro obiettivo è stato quello di avviare i team territoriali per un modello associativo ampio e diffuso, non direzionale e non centrico. Gli incontri sono stati caratterizzati dalla forte energia, empatia ed impegno, e hanno contribuito a raccogliere esigenze e stimoli diversi.  L’attenzione per il valore delle connessioni, e il feedback raccolto sul territorio, ci ha portato a realizzare per la prima volta l’evento estivo in contemporanea in 4 città, Milano, Napoli, Roma e Torino, connettendoci contemporaneamente dalle diverse location durante il discorso della nostra Presidente.  Come prossimi passi punteremo sull’empowerment della nostra community, attraverso un palinsesto di appuntamenti periodici, con l’obiettivo di favorire l’engagement, abbattere le distanze dal territorio e soprattutto avvicinare e farci conoscere.  Il primo format a partire sarà il NoiD Coffee Time, uno short meeting flessibile, sia in termini di orario che di contenuto, che sarà fruibile online (al momento in piattaforma teams), preferibilmente ad inizio mattinata, tutto in meno di mezz’ora.  Il NoiD Coffee Time sarà un incontro di networking ma soprattutto uno strumento di empowerment, dove offriremo alla nostra community 30 minuti aperti con interviste a role model di riferimento, workshop, pillole formative di strumenti digitali, testimonianze/interview di stakeholder esterne.  Ogni appuntamento sarà promosso sui nostri canali digitali, e le interessate potranno iscriversi attraverso un form di adesione disponibile sul nostro sito, a cui seguirà una mail di conferma con tutti i dettagli dell’appuntamento.  Quale migliore occasione quindi per lanciare qui una Call To Action “ Prendi parte al Coffe Time di NoiD, condividi la tua voce ed il tuo progetto con la nostra community!”   Noemi Giammusso: Non solo comunicazione quindi ma anche tecnologia. A questo proposito come si sposa secondo voi il nesso tra donne e tecnologie e come lo promuovete all’interno dell’organizzazione?  Jessica Sabellico: Le donne sono sottorappresentate in molti settori tecnologici, compresi quelli legati a STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica). Questa disparità si riflette nei tassi di occupazione, nelle posizioni di leadership e negli stipendi.   NoiD è fortemente attenta al binomio donna e tecnologie, e al divario in ottica gender gap che ne deriva, anche perché è proprio nel contesto ICT e TLC in cui lavoriamo, che vediamo in realtà quanto l’ambiente tecnologico sia prettamente a prevalenza maschile e quante donne competenti ci sono invece su progetti tecnologici interessanti ma che spesso non ricevono il riconoscimento che meritano come ad esempio avanzamenti di carriera e posizioni apicali.   Partendo dall’ambito STEM, sulla base degli ultimi report a disposizione, è ancora ridotta la presenza di ragazze all’interno dei corsi di laurea, anche se in aumento rispetto all’ultima rilevazione. Se infatti nell’anno accademico 2020/2021 le ragazze immatricolate in area STEM erano il 39,4% (dati Censis), i nuovi dati raccolti da Almalaurea raccontano una lieve crescita. L’Indagine sul Profilo dei laureati STEM rivela infatti che pur essendo più elevata la componente maschile, che raggiunge il 59,1%, quella femminile è salita negli ultimi anni al 40,9.   La

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